U-bahnhof Alexander Platz 20032013
Ho visto sfere di zucchero trasparenti, ripiene di tuorli cucinati nell’alcol e sguazzanti nell’aria affumicata.
Ho visto tagliolini neri disposti parallelamente in una lamina ripiegata su se stessa.
Ho visto una scatola nera contente un tulle cilindrico di olio d’oliva, adagiato su un letto di sale nero.
Ho visto del brodo di scampi essere servito dalla moca per caffè nella quale era stato cucinato.
Ho visto alcolici serviti in provette e bisturi al posto delle posate.
Ho visto patate viola, polenta blu, pasta rosa. Ho visto una metamorfosi di colori aggredire senza alcuna pietà tutto l’universo della frutta e della verdura.
Ho assaggiato fragole con asparagi freschi rifugiati nel guscio vuoto di un avocado.
Ho assaporato la panna cotta al pomodoro.
Ho assaggiato i tagliolini all’anatra mantecata in una meraviglia di arancia, cannella e cioccolato.
Ho sedotto il mio palato dai facili costumi con tartare di salmone al frutto della passione.
Ho concluso questa gang bang delle papille gustative con dei gamberoni risorti nella salsa di mango.
Io, che avevo come piatto preferito la banalissima bourguignonne. Io, che rischiavo un collasso cardiaco davanti alle cipolle al formaggio. Io, che ogni fottuta mattina mi sveglio e penso al cheeseburger.
Nella capitale mi si è aperto un mondo culinario del quale non sapevo nemmeno l’esistenza. La chiave di quest’universo parallelo della gastronomia me l’ha data l’ultimo cuoco arrivato al ristorante dove lavoro.
Il mio cuoco preferito ha da poco passato i trenta, vive nella Capitale da diciassette anni e fa le suole a qualsiasi altro miscelatore di pietanze che io abbia mai conosciuto.
Mi chiedo come sia riuscito, dopo anni di lavoro nei ristoranti italiani berlinesi, a non farsi contaminare, a non cadere nel tunnel della carbonara con la panna, della pizza ananas e cotto, del pangasio spacciato per sogliola.
Mi chiedo come riesca ad abbinare frutta e pesce, dolce e salato, carne e caffè, selvaggina e cioccolato.
Mi chiedo come sia possibile che un talento del genere sia finito a lavorare nel girone infernale placcato d’oro dove sono incagliata io. Dove la pasta se non è alla bolognese o al minchiosissimo pomodoro non è concepibile. Dove il mio milchreis mattutino scatena lo stesso stupore di un treno italiano in anticipo. Dove la foglia di basilico posta sulla zuppa con un’angolazione errata di due gradi scatena l’inquisizione. Dove non c’è spazio per la novità, l’ispirazione, l’azzardo, dove bisogna solo seguire la linea indiscussa dello chef in modalità McDonald. Dove i veri talenti sono inchiodati al muro al suon di telecamere e dipinti come nemico comune.
Il mio cuoco preferito oggi è stato licenziato, ancora una volta hanno sputato sul talento di una persona.
La sensazione di non doversi più svegliare ogni mattina per andare a lavorare nell’inferno personale altrui è appagante. Il non dover tacere, incassare insulti, strozzare la propria ragione, lapidare la propria dignità e svilire il proprio titolo di studio, ogni giorno, è più che appagante.
L’essere disoccupato ma senza quegli otto chili di pressione sullo stomaco ecco, quello sì che è esaltante.
Lo dico perché lo so, hanno licenziato pure me.
Avevo stretto amicizia con il nuovo cuoco, la mia prima amicizia berlinese che ho plasmato da sola. Non si possono avere amici sul lavoro.
Avevo chiesto i due giorni liberi che mi spetterebbero. Non si chiedono, si ringrazia se ne viene concesso uno.
Avevo dimenticato di spolverare degli scaffali. Fanculo non sono la putzfrau.
Sono tutte motivazioni supposte, il vero motivo che ha portato al mio licenziamento non lo so, non mi è stato riferito e nessuno ne è a conoscenza.
Ora mi trovo nel cuccio con Il Cuore, il mio cuoco preferito e il gin tonic.
Il nostro peso specifico reale è pari a quello dell’aria.
Sono disoccupata.
Grazie, non vedevo l’ora.
Grazie per avermi rimandata indietro a quei mesi, quando sono arrivata nella Capitale, quando avevo mille sorrisi e mille speranze.
Quando ero convinta che le condizioni lavorative subite in Italia qui non le avrei mai vissute, quando ancora riuscivo a sognare una vita nuova glassata di sorrisi.
Grazie per avermi fatto ringiovanire, per avermi spronato a tirare fuori dal cassetto i sogni freschi di bucato.
Sono disoccupata e sono all’incommensurabile cielo.
Si riparte da zero.